Mentre nei giorni scorsi la Commissione e il Parlamento europeo hanno iniziato a mettere opportunamente mano ad un regolamento per l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, abbiamo pensato che nella nostra newsletter ci piacerebbe saltuariamente condividere ciò che di positivo e interessante può arrivare da un mondo che, ammettiamolo, un po’ ci inquieta. Siamo nati e cresciuti nell’analogico e non abbiamo fatto mistero, anche in news precedenti, delle perplessità che riguardano una tecnologia sempre più performativa e altrettanto invasiva. Suggestionati poi da spunti di letteratura e cinema che hanno magistralmente anticipato i tempi, non possiamo fare a meno di pensare alle ombre di un incontrollato progresso.
Per questo vogliamo invece goderci, senza la pretesa di capirne i meccanismi, la meraviglia di alcune scoperte o di alcuni risultati raggiunti solo grazie all’Intelligenza Artificiale.
Ogni tanto ne daremo conto, così, spulciando tra le novità.
Partiamo da una notizia che riguarda qualcosa che ci sta particolarmente a cuore. L’amore per la parola, che è, dice Calvino, un fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto, di cui è necessario avere sempre più cura.
Durante lo scavo per un pozzo, quasi due secoli fa, un contadino rinviene alcuni blocchi di carbone. Si scopre che sono rotoli di papiro, divenuti illeggibili a causa dell’eruzione del Vesuvio e sembra facciano parte di una piccola biblioteca casalinga di un importante uomo di Stato romano. Se si guardano le foto, sembra impossibile poterne ricavare qualcosa, assomigliano a pezzi di legno carbonizzati.
Da anni gli studiosi cercano di trovare un modo per poter decifrare quei fragilissimi documenti, senza poterli srotolare perché si ridurrebbero in polvere. Qualche progresso è stato fatto negli anni scorsi ma è solo oggi che Brent Sales, professore di Ingegneria all’Università del Kentucky insieme ad un gruppo di ricercatori di provenienze diverse, è riuscito tramite particolari algoritmi ad individuare le tracce di inchiostro a base di carbone invisibili agli infrarossi. E non solo, addestrando sempre meglio l’intelligenza artificiale con informazioni numerose e dettagliate, è stato possibile vedere quei segni prendere sempre più significato fino ad ottenere la prima parola chiaramente individuabile: Porpora.
Sì, porpora, una parola che ha avuto bisogno di due millenni per tornare alla luce.
A qualcuno può sembrare insignificante tutto questo impegno, questi anni di studio per poter leggere oggi “solo” questo. Eppure, riusciamo perfettamente a immaginare l’emozione di questa prima lettura, il momento prezioso di una parola intera che torna timidamente ad affacciarsi. In quale contesto sarà stata scritta? A chi era diretta? Di che cosa stava parlando chi scriveva e perché?
Il professore Sales afferma che per lui è come aver messo il piede sulla luna. E noi gli crediamo.
Sembra proprio l’inizio di una storia ancora tutta da raccontare.