Ci sono due giovani pesci che nuotano e ad un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: -Salve ragazzi. Com’è l’acqua?- I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: – Che cavolo è l’acqua?-
Con questa storiella D.F. Wallace introduce il discorso per i giovani laureati del Kenyon College il 21 maggio 2015. Numerosi sono gli spunti e le provocazioni condensate in poche pagine. La trascrizione completa dell’intervento è stata pubblicata da Einaudi, in un volume “Questa è l’acqua” che raccoglie sei racconti scritti tra il 1984 e il 2005.
Il succo della storiella è semplice: a volte le realtà più ovvie e importanti sono le più difficili di capire e discutere ma – sostiene Wallace – “nelle trincee quotidiane dell’esistenza da adulti le banalità belle e buone possono diventare questione di vita o di morte”.
Vorremmo soffermarci in particolare su un tema di cui lo scrittore parla e che fa parte dell’esperienza nella vita di tutti.
Quante volte ci troviamo ad affrontare la realtà di tutti i giorni partendo dalla considerazione – errata ma normale – di essere il centro esatto dell’universo e che il nostro punto di vista – quella che lui definisce “modalità predefinita” – sia l’unica possibile?
“Affrontiamo raramente questa forma di naturale e basilare egocentrismo perché socialmente parlando è disgustosa, anche se, sotto sotto, ci accomuna tutti. E’ la nostra modalità predefinita (….)”
Il mondo, volenti o nolenti, gira intorno a noi e a quella “lente del sé” che ci fa guardare dal buco della nostra serratura quello che ci circonda.
Wallace introduce la possibilità di affrancarsi da questa posizione che riduce la quotidianità a una mera routine frustrante. E non lo fa da “vecchio predicatore”, anzi, sottolinea come per egli stesso la tentazione di vivere in uno stato di abbruttimento sia sempre in agguato.
Si può scegliere di guardare diversamente le cose intorno a noi. Anche quelle che appaiono noiose o disturbanti come una noiosa fila in cassa in un grande centro commerciale affollato di gente insofferente e apparentemente mediocre. Si può scegliere di rimanere sintonizzati nella nostra modalità predefinita o liberarcene, aprendoci ad altre possibilità.
Come? Imparando a pensare, ma soprattutto scegliendo cosa pensare. Scegliendo a cosa dare importanza. Ma questo richiede “consapevolezza, attenzione, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro”.
Ad esempio, il mondo del Mercato Retail è in evoluzione e sempre di più vengono scardinati i meccanismi dei negozi tradizionali. Nel corso di una “due giorni” di workshop con un’importante realtà che opera nel settore, abbiamo chiesto alle persone che vi partecipavano di vivere una giornata in un modo differente: uscire dalla loro sede e fare un giro per Milano. Abbiamo suggerito un percorso fatto di store con concept innovativi, molto diversificati fra loro. E così, mappa della città e macchina fotografica alla mano, sono partiti ad esplorare situazioni molto differenti da quella che vivono quotidianamente. L’esperienza è stata drammatica, qualcuno l’ha definita “uno schiaffo”, un viaggio in lotta con la propria resistenza al cambiamento. Si può guardare a questo cambiamento con il “default setting” (ad esempio fatturato, scontrino medio, coda alle casse, etc.) convinti che sia l’unico possibile, oppure aprirsi alla possibilità che esistano altre strade e scoprire, come è accaduto il giorno successivo, che questo è il modo con cui si genera innovazione.
Wallace ci dice che non c’entrano i titoli di studio o i risultati raggiunti, il successo ottenuto:
“c’entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di ciò che è cosi reale e essenziale, cosi nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti” che ci costringe a riconoscere che dietro ogni cosa c’è molto di più di quello che sembra.