Una vita intera non è sufficiente alla costruzione di un marchio
Davide Campari
Una bottiglietta di vetro, senza etichette, a forma di calice rovesciato, con un numero inciso sul retro, da 1 a 90, come un vero pezzo di design. Dal 1932, disegnata da Fortunato Depero, identica a sé stessa, contiene quell’inconfondibile bevanda alcolica rosso carminio che è il Bitter Campari e che da fine Ottocento, è conosciuto e utilizzato in tutto il mondo, il primo aperitivo “pronto da bere”.
La storia della famiglia Campari è nota e la si può vedere in un bel video che ne racconta la strada fatta con dedizione, sguardo al futuro e amore per il prodotto e per la sua singolarità.
Entrare nella fabbrica a Sesto San Giovanni, nel museo industriale dedicato, è qualcosa di più che conoscere una storia. Si può cercare di seguire un percorso cronologico, oppure lasciarsi coinvolgere senza avere la preoccupazione di sapere tutto. La percezione è quella di essere dentro un mondo dove si è lasciato tanto spazio a immaginazione, creazione, invenzione, sperimentazione, contaminazione, incontri con menti illuminate, senza mai dimenticare chi si è.
Sono tutte le parole che vengono in mente davanti al rosso predominante, al logo rimasto sempre uguale negli anni ma su cui come un perno hanno girato ricerche visuali di tutti i tipi. Ci sono manifesti pubblicitari dagli anni ‘20 ai giorni nostri, corti cinematografici girati da registi come Fellini e Sorrentino, caroselli degli anni ’50, fino a grafiche firmate (tra gli altri) da Marangolo o Crepax, calendari, atmosfere anni’ 80, volti di testimonial ma anche le fotografie di primo ‘900 di tutto un mondo milanese che frequentava il Camparino, con affaccio tra piazza Duomo e Galleria. Un bar aperto da Davide Campari nel 1915, dove ancora oggi sul bancone in stile liberty realizzato da artigiani famosi dell’epoca, si beve il classico Campari e soda sempre fresco grazie a un innovativo (per allora) sistema che garantiva un flusso continuo di acqua gassata direttamente dalle cantine.
Quello che sorprende camminando tra tanto materiale, così colorato, interessante, diverso per epoca, per singolarità di ciascun artista, per stile, è che non ci si confonde mai. Non si perde mai di vista l’unica cosa importante: l’identità del prodotto e del suo marchio. Mai per un attimo può sfiorare il pensiero di essere di fronte a qualcos’altro, anche nel linguaggio a volte metaforico. Tutta la visione, la creatività e l’estro dei tanti artisti che si sono cimentati hanno sempre avuto ben presente con cosa avevano a che fare, e forse, ci viene da pensare, perché molto chiara era l’idea che i Campari avevano saputo coltivare e trasmettere. Da quello non si scappava, per il resto piena libertà alla fantasia e alla sperimentazione, con tanta apertura all’inaspettato e originale, di cui forse Depero è l’elemento più rappresentativo.
Il prodotto diventa un oggetto estetico, su cui si può lavorare senza mai snaturarne l’essenza. Ed è bellissimo osservare come ciascuno secondo il suo talento ha dato un’impronta unica. Ci sarebbe piaciuto vedere negli anni ‘60, seduti sui sedili della Metropolitana rossa appena inaugurata, scorrere come una tappezzeria sui muri, metri e metri del manifesto di Munari, quella “ Declinazione Grafica del nome Campari” di ispirazione Pop dove sono rappresentati i molteplici lettering storici combinati come un collage, dove il rosso del Campari e della M1 si confondono. Uno di questi manifesti è esposto al MoMA di New York, nella collezione permanente.
In un momento in cui le cose e gli oggetti sono obsolescenti, si rompono e si sfanno velocemente, quanto è rassicurante trovare qualcosa che dura nel tempo, con una storia lunga un secolo da raccontare, ancora così riconoscibile e perfettamente contemporaneo.
Fino al 30 giugno, oltre alla Galleria Permanente si può visitare la bella mostra a cura di Marta Sironi, sulle declinazioni grafiche di Campari, da Depero a Munari e oltre. Consigliata!