Appaiono raramente sulla Terra, solo ad intervalli,
E alla Terra sono cari, e al tempo stesso pericolosi.
Si mettono a repentaglio, più di chiunque altro
E la gente risponde loro anche se non li conosce. (Beginners, Walt Whitman)

Due teste di angioletti, con o senza occhiali da sole, paffuti e pieni di boccoli, diventati nel tempo un’icona pop riprodotta su magliette, scatole, borse, arrivano a noi direttamente dagli anni ’80: sono stati il simbolo del negozio in Piazza San Babila, aperto da Elio Fiorucci, luogo di ritrovo del sabato pomeriggio milanese, tra oggetti e abiti coloratissimi e con quell’aria internazionale e scanzonata che soffiava da New York e Londra. Una mostra retrospettiva in Triennale ne ricrea l’atmosfera e racconta la storia dello stilista milanese, dagli inizi, nel negozio del padre dove ha cominciato a lavorare diciassettenne, vendendo pantofole nel centro di Milano, alla fondazione di un marchio che ancora oggi, a dieci anni dalla sua morte, ha ripreso a viaggiare per il mondo.

Negli spazi della Triennale si attraversa il mondo Fiorucci in un’esplosione di colori accesi dal fuxia al rosso al giallo al blu elettrico, tra cartonati di pin up in stile americano anni 50 e nani colorati da giardino che diventano oggetto di arredamento, tra i segni brillanti e riconoscibili di Keith Haring che collaborando con lui, porta il suo stile distintivo fatto di graffiti e figure colorate anche dentro i suoi negozi, decorandone pareti e camerini. In mostra spiccano anche un paio di jeans da lui decorati, con i caratteristici omini stilizzati tra scritte al neon e cartoline pop. Interessanti i quaderni di viaggio, dei taccuini pieni di appunti, ritagli, suggestioni che aiutano a capire come si innescava il processo immaginativo del brand Fiorucci.
La storia personale dello stilista è una storia vivace, fatta di incontri, di viaggi per il mondo in cerca di ispirazione, di attrazione per realtà culturali differenti dalla nostra, ma soprattutto è la storia di un uomo e del suo percorso. Dalle parole di chi lo conosceva emerge una personalità tanto semplice e alla mano quanto curiosa e attenta a tutto, con grande capacità di osservazione e di intuizione, soprattutto nel dare nuova luce a cose anche vecchie e polverose che nessuno avrebbe a quell’epoca nemmeno guardato. Proprio dai mercatini delle pulci di Londra, dai grandi bazar, dalla moda vintage Elio trae la sua ispirazione per una moda che non scende dall’alto ma “nasce dal basso, sotto la spinta di una turbinosa evoluzione del costume”, in contrapposizione ad una certa rigida serietà borghese cittadina.

Strano ricordarlo vestito sempre con un loden, con maglioni scuri e camicie bianche, in un perfetto minimalismo che farebbe passare inosservati e che sembra fare a pugni con l’estrosità della moda che vendeva. Ma forse questa era proprio la sua cifra, non era tanto il mettersi in mostra che lo guidava ma, racconta la sorella, una sorta di idealismo infantile in senso positivo “perché a soddisfarlo non erano le vendite, ma la sensazione di avere fatto qualcosa di bello e di rendere felici le altre persone. Questo lo rendeva soddisfatto della vita

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All’ingresso della mostra è esposto felicemente su un banco di scuola un tema svolto da ragazzo.
Si legge “Io desidererei poter avere nella mia vita, tutte quelle soddisfazioni che dovrebbe dare un lavoro fatto per proprio conto. Un commercio, ad esempio, con tutte le sue soddisfazioni per gli affari ben riusciti e tutte le apprensioni per quelli incerti (…) Il commerciante è in una continua gara di intelligenza e capacità con i suoi concorrenti ed appunto in questa gara o battaglia sente simpatia per questo mestiere, ne resta affascinato…Immagino che il mio avvenire sarà quello di commerciante.”

Forse di tutta la mostra, sicuramente divertente e curiosa, la cosa che ci è piaciuta di più è proprio questa: quel banco, su cui, in ordinata calligrafia, si intravede il seme ancora in attesa di sbocciare, dove leggere e intravedere la forza ostinata di un destino.