Lilith Moscon, scrittrice e terapeuta, arriva a Napoli, rione Sanità, per un laboratorio con un gruppo di bambini. Porta con sé alcuni dei suoi libri. Ha in mente tutte le cose che deve fare con loro. Ma i bambini scalpitano, si picchiano, la ignorano, le rispondono che loro i libri li buttano via. L’ora finisce e non si è combinato nulla.
“Sono arrivata lì con troppa voglia di fare qualcosa di buono. E loro mi hanno dato la lezione che merito.”
Secondo gruppo di bambini, Lilith prova un altro approccio. Omette di dire che è una scrittrice, nasconde in un angolo i libri che ha portato, si siede nel cerchio e inizia: “Ho sentito che in questa zona di Napoli vivono bambini che sono abilissimi a raccontare storie…” Il ghiaccio è rotto. Lavorano bene insieme per un’ora e scrivono un racconto bellissimo che traducono persino in napoletano.
“Torno al mio bed & breakfast e metto in valigia tutto, anche un’ennesima lezione per il mio ego (eppure lo sapevo): non si entra mai in una classe con un programma troppo definito e con la certezza di stare facendo qualcosa di buono”.
Che cosa è scattato con il secondo gruppo? Cosa ha fatto la differenza?
“Mi arriva un’immagine. Vedo un re che depone il suo scettro e la sua corona. Che rinuncia agli attributi del suo potere. Quel re sono io. Che cosa ho deposto tra i due turni di bambini? La mia sete di essere utile, di educare (……) È più facile aprirsi con un proprio simile che con un sovrano. Credo che i bambini del secondo turno abbiano visto il mio scettro e la mia corona deposti in un angolo del pavimento. Per questo hanno potuto avvicinarsi a me e io a loro. Creare un terreno comune significa quindi fare un passo indietro, ritirarsi, per dare ad ognuno la possibilità di agire e, prima ancora, di essere”.
Ci sembra che l’esperienza che Lilith racconta ci riguardi da vicino, qualunque sia il nostro ruolo.
Ogni volta che ci poniamo davanti a fatti e persone con uno schema rigido per quanto perfetto, l’imprevisto è dietro l’angolo. Le cose potrebbero andare in un altro modo e pur mettendoci tutta la nostra buona volontà, potremmo andare tranquillamente incontro ad un fallimento. Siamo pronti a deporre scettro e corona, accogliendo l’imprevisto, con flessibilità e disponibilità?
Silvano Petrosino in un’intervista che potete trovare qui, afferma: “Io penso che il vero leader sia colui che si serve dei dati, ma che allo stesso tempo è libero dai dati, è flessibile. Il leader è colui che è capace di accogliere l’imprevisto non come uno scandalo, di vedere il nuovo dove non lo si attende” e ancora: “Perché è l’imprevedibile ciò che permette all’uomo di rivelarsi come uomo, di fare le sue scelte”.
Il racconto di Lilith Moscon è pubblicato sulla rivista Quarantotto n.2 Gennaio 2022, pag.41.