Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po’ appartato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti lì seduti per una mezz’oretta, osservati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non hanno detto parola (forse — benché non lo ricordi — si sono bisbigliati qualcosa tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo)”.

Questo è l’incipit di un memorabile articolo di Pier Paolo Pasolini, apparso sul Corriere della Sera del 7 Gennaio 1973 (lo si ritrova anche in “Scritti corsari”). Siamo in un albergo di Praga e fanno il loro ingresso due giovani stranieri. Fin qui Pasolini sembra rivelarsi soltanto un attento osservatore.

Qual era il senso del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico? Era questo: «Noi siamo due Capelloni. Apparteniamo a una nuova categoria umana che sta facendo la comparsa nel mondo in questi giorni, che ha il suo centro in America e che, in provincia (come per esempio — anzi, soprattutto — qui a Praga) è ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione. Esercitiamo il nostro apostolato, già pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente. Non abbiamo nulla da aggiungere oralmente e razionalmente a ciò che fisicamente e ontologicamente dicono i nostri capelli. Il sapere che ci riempie, anche per tramite del nostro apostolato, apparterrà un giorno anche a voi. Per ora è una Novità, una grande Novità, che crea nel mondo, con lo scandalo, un’attesa: la quale non verrà tradita”.

Così Pier Paolo Pasolini da questa scena rilegge la storia: parte dal 1967 e arriva al 1973, attraversando anni drammatici per l’Italia. Anzi, supera il suo asse temporale e va oltre, anticipando cosa sarebbe successo negli anni successivi, annunciando in anteprima il fenomeno dell’omologazione.

Tutto era già condensato in quella breve scena: occorreva un uomo in grado di leggerla.

Si trattava di un unico segno — appunto la lunghezza dei loro capelli cadenti sulle spalle — in cui erano concentrati tutti i possibili segni di un linguaggio articolato.

Persone capaci di leggere e interpretare così bene il presente da intravedere un futuro che altri non sanno scorgere. Questo è ciò di cui oggi le aziende hanno estremo bisogno.

Il signor Alfonso Bialetti, per esempio, era un acuto osservatore e trovava ispirazione da tutto ciò che lo circondava.

Un giorno, guardando sua nonna mentre lavava i panni nel lago si concentrò su un fornello, sotto la bacinella del bucato, che scaldava l’acqua dentro un tubo con la lisciva. Il calore la faceva sciogliere, insieme al detersivo e all’acqua calda. Salendo, produceva la schiuma che veniva poi usata per lavare.

E così, nel 1933, realizzò con uno stampo di ghisa la prima Moka della storia, la caffettiera che avrebbe mandato in pensione quella classica napoletana e avrebbe conquistato il mondo.

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Siamo in un contesto in forte evoluzione: servono senz’altro persone in grado di gestire e pianificare, ma ancor più manager capaci di vedere lontano e guidare le proprie aziende.